Con
la testa piuttosto appesantita per il giorno e mezzo milanese che è
servito per tornare a casa, sbrigare qualche faccenda, e ok,
scaricare le foto di Grado, e rifare i bagagli, ma soprattutto con
una certa agitazione che ha scombussolato in una sera il mio non
certo saldo equilibrio emotivo, mi rimetto sul treno. Direzione
Firenze, con il prezioso contributo di mia mamma che mi evita
un'alzataccia ancora peggiore e mi accompagna al metrò.
Questa
volta il viaggio è meno piacevole: io sono un po' turbata per l'incontro
con l'ex - ex della sera prima, e il treno è molto affollato, chiassoso
e nervoso. Il mio vicino sbuffa quando si rende conto che deve
liberare, perché assegnato a me, il posto su cui aveva posato la borsa. Decido subito che mi sta sul cazzo.
Fortunatamente
arrivo velocemente a Firenze dove mi aspettano le ferrovie regionali.
Ma la mia speranza di poter far colazione nell'attesa tra un treno e
l'altro evapora quando capisco che anzi devo correre per non perdere il convoglio per Poggibonsi.
Con
i vagoni scomodi per posizionare il trolley opto per uno di quei
sedili ribaltabili che si trovano tra uno scomparto e l'altro, vicino
alle porte. Il che ha il vantaggio di una maggiore tranquillità,
cosa che non impedisce a un bizzarro quarantenne fiorentino di
attaccare chiacchiera, chiedendomi dove sono diretta e se sto
viaggiando sola... In realtà la conversazione nasce dal fatto che il
tizio si trova in difficoltà perché deve andare al bagno, che è
occupato da molto tempo. La sua teoria è che quelli senza biglietto
si sono chiusi nei bagni dei treni per non essere beccati. E lui lo
sa bene, dice...
Senza
una vera ragione, mi faccio l'idea che sia disoccupato ed ex (?)
tossico. Provo a imaginare che vita faccia mentre lo ascolto dire che
in effetti è meglio viaggiare soli. Anzi no: dalla mia risposta di
prima ha dedotto che io parlassi della mia situazione sentimentale
(io mi riferivo al viaggio in treno), e quindi che non ho un
fidanzato e che questo sia meglio. E lui, be', la fidanzata l'aveva,
ora no (e a dire il vero non mi sembra così contento di non averla),
ma proprio non andava perchè c'era il problema della gelosia...
Quella di lui! O meglio di lei che lo rendeva geloso...
Rinuncio
a provare qualunque tipo di ragionamento, e del resto non potrebbe
aggiungere molto altro al discorso perchè mister vescica piena deve
scendere.
Io
credo che quel tipo pensasse che manco morto sarebbe andato in
vacanza da solo e che avrebbe dato un braccio per avere una nuova
ragazza di cui essere geloso.
Non
ci vuole molto neppure per Poggibonsi, e scesa dal treno, inizio a
sperare con tutta me stessa che ci sia tempo per una seconda
colazione. Vengo esaudita: nel piazzale della stazione c'è una
caffetteria piuttosto tranquilla dove attendo una mezz'oretta il bus
e dove continua la mia scrittura a mano del diario di bordo (quanto mi
piace farlo!).
Poggibonsi
non mi attrae per niente (avrò modo di farci un giretto poi); quindi
raggiungere in pochi minuti il piazzale di San Gimignano, proprio
davanti alla porta di San Giovanni, mi riempie di gioia e meraviglia:
sto per varcare la soglia del tempo. Stanotte si dorme in un borgo
medievale!
Il
mio alloggio dista pochi metri dalla porta e dalla via principale del
borgo che ha uno sviluppo prettamente longitudinale e la cui forma
all'inizio mi sfugge ma poi imparerò a conoscere.
Non
mi ero neppure accorta di non aver prenotato un B&B ma un
affittacamere, e niente, tutto in questa vacanza mi entusiasma, così
l'idea dei avere una mia camera che è un pezzo di una vera e propria
casa centenaria (millenaria?), mi fa l'effetto che fanno le giostre a
un bambino.
La
mia casina è come tante, forse tutte, lì: casine in pietra e
mattoni ocra di 2-3 piani con tetti tegolati spioventi, le
finestrelle con le imposte in legno bruno, senza balconi.
La
stanza è un colpo di fulmine: al secondo (e ultimo) piano, piccola,
bianca, con il soffitto solcato da irregolari travi a vista in
massiccio legno scuro; luci moderne e minimali, quasi soltanto
lampadine, un angolo di parete attrezzato come armadio, una mensola
con un vassoio provvisto di tutto l'occorrente per preparare una
tisana, pavimento in cotto, ma soprattutto...LA FINESTRA!

(Io
di quadri ne vedo tre )
Una
giocosa finestra che si apre su un vicolo e che nel soggiorno toscano
sarà il mio punto di osservazione sui tetti della città, e in
particolare sul tetto di fronte da cui ho la costante compagnia dei
piccioni. E ogni tanto spierò la vecchina che lascia filtrare un
pezzettino della sua vita quando apre la finestra della sua cucina di
fronte alla mia ma un po' più in basso. Mi affaccio e mi riaffaccio
quando desidero sentire calore familiare, pure se lei non si
accorgerà mai di me. E le imposte in legno, regolabili in più
versi, diventano il mio giochino e il mio desiderio, inesaudibile
purtroppo nel mio appartamento milanese con fredde e grigie
tapparelle: ora le chiudo ché devo svestirmi; ora le tengo le chiuse
ma le apro in verticale per riuscire ad osservare i piccioni senza
che mi vedano; ora spalanco tutto. Le imposte come un sipario che mi permette di mettere
in scena il mio teatro o come il diaframma di una macchina
fotografica.
(Piccioni,
uffi!, perché vi immobilizzate appena apro le finestre??? Siamo vicini di
tetti, potremmo fare amicizia, non trovate?)
Questo tu per tu con i tetti del borgo, con il lampione-lanterna posto
proprio sotto la mia finestra a conferire un tocco retrò, mi sa
tanto (piacevolmente) di Luna
e Gnac.
E
se lascio le imposte aperte, pure sdraiata sul letto riesco ad
osservare la vita sui tetti ed ascoltare il vociare di turisti e
passanti per i vicoli. Su quel letto fresco ci si sta così
bene, che prima di improvvisare una visita per il borgo, mi ci faccio
una bella pennichella pomeridiana. Ciao mondo.
Il
primo giro per il borgo mi vede un po' nervosa: ancora senza una
mappa dettagliata dei luoghi, vago confusa tra l'insopportabile orda
di turisti, per lo più stranieri, e ulteriormente stordita dalla
bellezza che qui è ovunque: nelle torri, nelle mura, nei pendii
coltivati tutt'intorno...
L'unica
cosa che ricordo bene, è che la guida raccomandava il famoso gelato
dai Dondoli, vincitore di più edizioni del gelato più buono del
mondo: accetto quindi quel che normalmente non farei mai, una
lunghissima fila premiata dal doppio gusto zabaione al vin santo e il
celebre crema di Santa Fina, una particolare ricetta locale a base di
zafferano (che ho scoperto essere una famosa produzione di San
Gimignano, quando lo pensavo esclusivamente orientale) e pinoli.
Il
giro random prosegue per la Rocca di Montestaffoli dove posso sfogare
la mia voglia di foto, con vista ora sulle colline del Chianti, ora
sulle torri, le piazzette, le chiese e queste centinaia di
meravigliose casette in pietra e mattoni rosso chiaro. Ancora non
sono in grado di orientarmi e ordinare nella mia mente quel che vedo,
e questo mi disturba.
Pure
che le colline intorno sono il Chianti scoprirò soltanto a
posteriori, mentre per ora sono molto più genericamente colline
senesi.
Decido
quindi di uscire dalle mura e seguire il consiglio
dell'affittacamere, che per inciso mi faccio l'idea sia una simpatica
lesbica frickettona sui 45 anni: cenare in un ristorantino appena
fuori dal borgo, dove (dice) vanno gli abitanti del posto. Per il
panorama, niente da eccepire, ma sul fatto che sia un ristornante da
consigliare, ho i miei seri dubbi: quasi per nulla caratteristico,
con piatti molto global e per lo più vegano-vegetariani. Non
esattamente quel che cerco in centro Italia...
Zigzagando
nei dintorni del piazzale antistante Porta San Giovanni, raggiungo un
punto da cui parte una strada sterrata che ora sale ora scende,
perdendosi tra i campi. Che sia lei quella Via Vecchia che cercavo
senza darmi pace? La celebre via da cui si ha una vista privilegiata
e spettacolare del borgo?

(S.
Gimignano dalla Via Vecchia)
Non
ci sono dubbi: sto davvero camminando tra quelle colline che vedevo
dall'alto della rocca e che tanto desideravo calpestare fin da quando
questo viaggio era soltanto una vaga idea nella mia testa. La gioia è
tale che sento di voler condividere. Così mi fermo a rubare le
chiacchiere tra un attempato coltivatore di zafferano e il contadino ottantenne
che possiede i campi dall'altro lato della via. L'anziano è con la
moglie che mi racconta senza nasconderla la sofferenza che una vita
nei campi le ha lasciato nel corpo malandato. Ora aiuta la figlia che
ha aperto un (accogliente) B&B proprio lì, tra filari di viti e
di ulivi. E mi invita, in occasione di una prossima volta a San Gimignano, a scegliere il suo casolare per il soggiorno, ché mi fanno lo sconto e un'abbondante colazione (che in effetti dall'affittacamere non c'è).

(Preziosi
agricoltori a San Gimignano (lo zafferano))
Scatto
foto ai contadini che chiacchierano, chiedendomi dove trovino tanto
vigore a quell'età. Entrambi hanno i volti solcati da profonde
rughe, i visi abbronzati in cui spiccano vivaci e luminosi occhi
azzurri. Vederli anziani, mi rabbuia per un attimo, perché si fa più nitida in me la convinzione che quelle terre rimarranno presto orfane di giovani del luogo che ne portino avanti la tradizione...
Chiacchierando
con l'anziano contadino, lascio il campo di zafferano e il suo
proprietario operoso, perchè qualcos'altro mi attende: il
vecchietto, saputo che desideravo fotografare il borgo dai campi, mi
ha invitata a girovagare per la sua (sterminata) proprietà,
fotografando a mio piacimento. Mi dice che è proprio dai suoi campi
che si ha un palcoscenico unico sulla cittadina. Ed è vero! Ecco
un'altra delle più appaganti sessioni fotografiche di questa vacanza
a tappe.
Il
tardo pomeriggio trascorre così.
La
sera la stanchezza inizia a farsi sentire anche oggi (in questa
vacanza credo di non essermi mai svegliata dopo le otto), ma vorrei
tirare le dieci per il concerto gratuito alla rocca... Mi dirigo
perciò, con poca determinazione, verso il borgo. Ma la verità è che
alla rocca neppure ci arrivo: mi fermo prima, per la curiosità di
vedere che c'è nel sontuoso atrio che pare visitabile e che si trova
al piano terra di una delle torri del borgo. Un giovane ragazzo
dall'aria innocua (tipo quelli che di solito non piacciono alle
donne) mi spiega che è la Casa Campatelli, aperta in queste sere dal
FAI. Il concerto può aspettare: entro!
Mi
addentro in questo elegante appartamento alto-borghese su due piani,
ancora arredato nei dettagli, dove il tempo sembra essersi fermato
all'Ottocento, come se fino a cinque minuti prima ci fossero stati
dentro i proprietari affaccendati nelle loro cose. E' un'esperienza
strana, pure perchè sono l'unica visitatrice: vago per le stanze
illuminate dai lampadari dell'epoca, soffermandomi ora sul libro
ancora aperto sulla scrivania, ora sulla Olivetti pronta per l'uso,
il mappamondo, il porta-penne, le cartoline, le lettere. C'è pure la culla
di un neonato. E quadri e fotografie di famiglia: mi sento quasi una
ladra. Sono incuriosita dall'esperienza ma al contempo non so,
il tempo che si è fermato, l'assenza delle persone a cui
appartengono quegli oggetti, lascia aleggiare un brivido di mortifero
disagio.

(L'Olivetti
di Casa Campatelli)
Fuori
è buio. Il concerto può saltare. Torno a godermi la mia camera.
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